La Storia Di Francesco

Mi sono ammalato di SLA il Natale di quattro anni fa. L’anno prima avevo festeggiato i miei 60 anni con tanta gioia e felicità.

Non pensavo alla SLA in quell’attimo pieno di tanti amici venuti anche da oltre oceano, due splendidi figli e una moglie incantevole, all’apice della mia carriera lavorativa. Il farmaco per gravi patologie oculari, a cui avevo dedicato tante energie, stava per essere approvato in Europa. Avevo appena accettato la nomina a presidente di un’innovativa azienda biotec a Parigi.

Poi improvvisamente i primi sintomi: durante la pausa pranzo andavo in una palestra accanto all’ ufficio, sul tapis roulant non riuscivo a mantenere la mia solita andatura. All’inizio non ci feci caso ma poi iniziarono le cadute; la prima ricordo fu in bicicletta a cui seguì una rovinosa caduta mentre scendevo le scale, dieci punti in testa.

Ero spaventato e finalmente mi decisi a consultare un amico neurologo dell’ospedale  del San Raffaele di Milano. Dopo avermi visitato mi prescrisse esami più approfonditi: un’elettromiografia e poi una nuova risonanza, che consente di visualizzare lo stato dei motoneuroni. La diagnosi arrivò implacabile a febbraio: malattia dei motoneuroni chiamata anche malattia di Lou Gehrig o sindrome laterale amiotrofica (SLA).

 

 

Fu come se il mondo mi crollasse addosso. Il primo anno fu di disperazione e allo stesso tempo di rifiuto della realtà. Provai mille strade, ma purtroppo niente sembrava modificare il corso della malattia.

Mi rendevo conto che non potevo continuare a vivere nella disperazione e nell’angoscia, fra l’altro il mio stato d’animo si rifletteva negativamente sui miei cari e questo mi causava ulteriore sofferenza. Poi qualcosa cominciò a cambiare: invece di pensare alle cose che non avrei più potuto fare cominciai a pensare alle tante cose di cui ancora potevo gioire: la vista dei miei figli, il sorriso di mia moglie, l’affetto sincero e disinteressato dei miei amici, la lettura di un buon libro, il mio angolo di paradiso nel Salento.

Oggi sono immobilizzato in carrozzina, totalmente dipendente nelle necessità della vita quotidiana dai miei assistenti  (detesto il termine badante), ma vivo la mia condizione con molta serenità. E’ come se avessi accettato una nuova identità.

 

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