La sfida delle aziende è diventata, specie negli ultimi anni, quella dell’innovazione. Innovarsi per non sopperire è ormai una missione che tutte le imprese, dalle più grandi alle più piccole, perseguono, non sempre con facilità e quasi mai a costo zero.
Ma il mondo globalizzato e la crisi economica hanno aumentato la competitività tra le aziende dello stesso paese, oltre che tra quelle di paesi di tutto il mondo, con il risultato che solo le aziende più innovative sono anche quelle che meglio riescono a posizionarsi nel mercato. Come fare, dunque? La risposta viene dai cluster tecnologici, veri e propri aggregatori di realtà pubbliche e private che sono stati creati per venire incontro alle necessità delle aziende d’oggi.
Cosa sono i cluster tecnologici nazionali?
In Italia i cluster tecnologici sono stati lanciati nel 2012 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in linea con le priorità delineate nel programma quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020. Si tratta di reti di soggetti pubblici e privati che operano sul territorio nazionale in settori quali la ricerca industriale, la formazione e il trasferimento tecnologico. Queste aggregazioni di imprese, centri di ricerca, università, no profit e soggetti nel campo dell’innovazione, presenti sul territorio e focalizzate su uno specifico ambito applicativo, hanno lo scopo di contribuire alla competitività internazionale sia dei territori di riferimento, sia del sistema economico nazionale. Funzionano, insomma, da catalizzatori di risorse per rispondere alle esigenze del territorio e del mercato, oltre che per coordinare e rafforzare il collegamento tra il mondo della ricerca e quello delle imprese. Ciascuna aggregazione, poi, fa riferimento a uno specifico ambito tecnologico e applicativo ritenuto strategico per il nostro paese, di cui rappresenta l’interlocutore più autorevole per competenze, conoscenze, strutture, reti e potenzialità.
Come funzionano i cluster
Veri e propri strumenti di coordinamento, consultazione e riferimento che elaborano proposte e strategie per accelerare i processi di innovazione (aumentando così la competitività delle aziende), tra i molti compiti dei cluster tecnologici c’è quello di raccogliere in modo coordinato e organico le migliori esperienze e competenze esistenti sul territorio di riferimento e sul territorio nazionale: lo scopo è quello, duplice, di favorire l’inclusione di tutte le organizzazioni operanti nel settore interessate ad aderire e, allo stesso tempo, di realizzare sinergie tra settori diversi sulle stesse tipologie tecnologiche.
Un altro dei compiti è quello di favorire una stabile connessione e interazione tra ambiti, politiche, interventi e strumenti di carattere nazionale, regionale e locale e valorizzare i programmi strategici di ricerca, di sviluppo tecnologico e innovazione coerenti con i programmi nazionali e internazionali, in particolare la Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente e il Programma Europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020. In Italia sono stati prima lanciati otto cluster, in vari settori: l’aerospazio, l’agrifood, la chimica verde, la fabbrica intelligente, i mezzi e sistemi per la mobilità di superficie terrestre e marina, le scienze della vita, le tecnologie per gli ambienti di vita e le tecnologie per le smart communities. Nel 2016, poi, sono stati aggiunti altri quattro cluster: tecnologie per il patrimonio culturale, design, creatività e Made in Italy, economia del mare ed energia.
Come i cluster creano innovazione
Ma come si concretizza la spinta innovativa tipica di queste realtà? A ben vedere, tale input proviene già dalla scelta governativa di mettere in relazione tra loro, senza alcun tipo di gerarchia, istituzioni pubbliche e private: questo tipo di aggregazione non prevede solo un scambio di know how tra realtà tradizionalmente molto diverse tra loro (fosse anche solo per la governance), ma anche di consentire il proliferare di enti che promuovono la sussidiarietà orizzontale, come quelle realtà, tipiche del no profit, che vivono della sinergia tra pubblico e privato. E, a proposito di no profit, il loro apporto innovativo all’interno dei cluster tecnologici è fondamentale per diversi motivi: non solo perché grazie a loro le aziende gettano un ponte verso il mondo scientifico e quello della ricerca senza rischiare di investire in qualcosa di poco proficuo, ma anche perché la presenza di personale specializzato consente alle aziende di approcciare in modo nuovo e all’avanguardia i temi cari alle onlus, come quello dell’inclusione sociale. Ultimo ma non meno importante apporto fornito dalle onlus è quello rappresentato dalla loro presenza sul territorio: una presenza continua e viva, che accorcia le distanze con la comunità locale e consente un’ottima conoscenza delle necessità (oltre che delle risorse) di quest’ultima.