“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, disse Tancredi Falconeri allo zio Fabrizio Corbera nel romanzo più famoso di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma siamo sicuri che la massima di gattopardiana memoria, divenuta nel tempo slogan di un vero e proprio movimento filosofico e politico, possa essere valida anche oggi? La realtà dimostra proprio di no: si tratta, infatti, di una categoria anacronistica perché appartenente al passato e, pertanto, difficilmente applicabile nel tempo in cui viviamo se non con risultati negativi.
Ciò che sta accadendo oggi, infatti, è l’esatto opposto di quanto provocatoriamente illustrato dallo scrittore siciliano nel lontano 1958. Senza pregiudizio o interpretazione moralistica alcuna, non possiamo infatti che registrare che la crisi e la contestuale ritirata dello stato sociale hanno lasciato un vuoto che sempre più spesso i privati sono chiamati a colmare. Ci riferiamo a un microcosmo fatto di servizi, attività, luoghi di aggregazione e spunti di riflessione di cui il pubblico (inteso come spettatore esterno) necessita e che, in molto casi, a gran voce richiede.
E così, in una condizione in cui il gap da colmare è ampio e copre diversi settori della vita civile, la concorrenza che si va a creare tra le realtà private che vi operano è alta. Ma se l’immobilità o la stabilità “sicura” creata da anni di tradizione e sedimentazione non fa altro che rallentare (se non annientare) la competitività dei privati, il modo migliore per creare valore per sé e per gli altri è quello di puntare il più possibile sul tema dell’innovazione, declinabile in tutti i campi della produzione.
A dirlo sono i dati: non solo le piccole e medie imprese italiane si impegnano volentieri in attività di innovazione sociale, ma, sempre secondo i numeri, quelle che lo fanno da tempo possono essere considerate vincenti, specie in termini di brand reputation. Ma cosa si intende, esattamente, con CSR nelle PMI? Partendo dal concetto di miglioramento della qualità della vita lavorativa ed extra lavorativa dei propri dipendenti e loro cari, la CSR nelle imprese nostrane si trasforma in una vera e propria attività di influenza positiva sulla società, con progetti che spaziano da eventi one shot ad attività di lunga durata.
E, come sottolinea anche Unioncamere, i vantaggi che se ne traggono “sono tangibili su diversi fronti”: oltre al miglioramento del clima aziendale, con ricadute positive sulla produttività, e alla conseguente ottimizzazione della reputazione aziendale, che crea fidelizzazione nella clientela, un’attività di questo tipo implementa e cementifica i rapporti con la comunità locale, contribuendo alla qualità della vita con iniziative concrete. Ultimo, ma non meno importante punto, è quello che consente all’impresa di creare relazioni con le istituzioni finanziarie, dal momento che viene facilitato l’accesso alle fonti di finanziamento grazie ad una riduzione del profilo di rischio e a una accresciuta autorevolezza.
Affinché questo accada, è importante che l’azienda si doti di personale specializzato nella creazione di strategie ad hoc e nella loro applicazione all’interno delle realtà territoriali con le quali si trova a collaborare. Tra tutte queste figure, spicca (per importanza e innovazione) quella del Sustainability Manager: da taluni considerata come una vera e propria evoluzione del ruolo di CSR Manager, tale figura entra appieno nei processi decisionali e di programmazione strategica al fine non solo di assicurare la sostenibilità dei processi aziendali ma anche di monitorarne gli effetti su tutti gli stakeholder dell’impresa.
Ma quanto abbiamo illustrato finora non può prescindere da un altro fondamentale ragionamento che tutte le aziende sono chiamate a fare nel loro stesso interesse: quello, cioè, di trarre giovamento (anche economico) dalle attività di innovazione sociale messe in campo per la società civile. Ecco perché l’individuazione di modelli di business che possano “tenere il passo” con la corsa al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali è fattore indispensabile di sviluppo e crescita per le aziende. In questo non facile compito, le imprese sono di certo aiutate sia dalle istituzioni (come nel caso del Corpo Europeo di Solidarietà) sia da un mondo che, iper connesso e in continua evoluzione, fornisce soluzioni interessanti e innovative che permettono alle aziende di “svecchiare” i loro modelli di business e presentarsi sul mercato con un occhio sempre rivolto al futuro.
Prendiamo, per esempio, l’Open Innovation, modello di gestione che il professore Henry Chesbrough ha teorizzato dopo anni in cui l’innovazione aziendale veniva gelosamente prodotta e custodita all’interno dell’azienda. Con questo nuovo paradigma l’impresa apre le porte a realtà esterne (siano esse start up, altre aziende, no profit o singoli professionisti) per creare un vero e proprio network collaborativo che consenta a ogni attore di progredire, scambiandosi know how e collaborazioni proficue.
Uno strumento che, specie negli ultimi tempi, consente di tracciare al meglio gli sviluppi economici di un’azienda senza tuttavia tralasciare il versante della sostenibilità aziendale è quello del report integrato: non più “solo” bilancio sociale, esso, come sostiene Stefano Zambon, Segretario Generale NIBR Network Italiano Business Reporting “consente di passare dal mero ‘Financial Reporting’ a un più ampio ‘Business Reporting’ che possa presentare un quadro più esaustivo delle strategie, del modello di business e delle risorse intangibili su cui si basa lo sviluppo dell’azienda, ivi inclusa la sostenibilità socio-ambientale. Un nuovo concetto che chiamerei ‘business sustainability’”.
Come abbiamo più volte avuto modo di notare, in un mercato sempre più “open” e avvezzo all’uso della rete, non c’è modo migliore per innovare di quello della collaborazione. E chi, meglio di una realtà no profit, può rappresentare il migliore partner per portare avanti progetti che raggiungano il duplice obiettivo di fornire servizi alla comunità generando valore?
I motivi per cui una collaborazione di questo tipo risulta vincente per un’azienda sono tanti: dall’aumento del valore della sua Business Value Proposition al coinvolgimenti dei dipendenti, dalle importanti relazioni comunicative con l’esterno (siano esse indirizzate ai media o ai clienti) fino alle inevitabili agevolazioni fiscali previste dalla legge italiana, una no profit è infatti in grado di agevolare taluni processi, accorciando le distanze con il territorio e fornendo spunti di ragionamento interessanti e pregni di qualità.
Infine, è importante ricordare che alla base della buona riuscita di una collaborazione tra Enti del Terzo Settore e realtà Profit ci deve essere la capacità di creare un rapporto di sostegno e di stimolo reciproco, alla base peraltro dell’idea di Open Innovation. Una relazione capace di garantire quell'indispensabile equilibrio tra le inevitabili esigenze di business dell’azienda e la volontà di creare progetti in grado di migliorare (se non addirittura cambiare) la vita delle persone.